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Michele Maioli

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Da sempre l'uomo ha sentito il bisogno di manifestare se stesso, di lasciare tracce di sé. In certi individui questo desiderio è sopito o si manifesta in vari modi: accumulare oggetti, amicizie,viaggi.. In altri questo desiderio ancestrale si manifesta in tutta la sua purezza: lasciare una traccia, un segno nel vero senso del termine, un qualcosa di visibile una proiezione di sé sulla realtà che ci circonda che non possa essere cancellato in un attimo oppure che duri più del tempo che si impiega per crearlo.
Un segno, un mutamento visibile nel mondo che ci circonda, un semplice segno oppure uno più complesso, un disegno, un quadro, ma anche una scalfittura nella materia, un'incisione, una scultura, un qualcosa che un uomo da solo crea nella sua semplicità o nella sua complicatezza, ma un qualcosa che fa lui da solo.
Graffiti sui muri, il proprio nome scritto o inciso con caparbietà in materiali duri, in posti proibiti, oppure semplicemente scritto sulla sabbia, le proprie iniziali, qualcosa.
Noi siamo vivi, e vogliamo da sempre manifestarlo agendo sulle cose che ci circondano anche con un semplice segno nella sabbia, chi non l'ha mai fatto? Magari cancellandolo subito dopo per paura che qualcuno scopra il nostro desiderio inconscio, la nostra voglia di imporci sulla materia in primo luogo e quindi su tutto quello che ci circonda e soprattutto la nostra paura di essere scoperti nel tentare e non riuscire.
L'artista non cancella, l'artista è conscio dei desideri che formano la nostra individualità e non si limita, anzi ne fa un suo punto di forza in una società che ci vorrebbe invece tutti diversi ma in modo standard, così da darci l'illusione di essere unici, mentre facciamo solo parte della massa uniforme che ci circonda.

I segni fanno parte di noi, della nostra umanità, soprattutto quella loro apparente illogicità che spesso li genera, quello che noi a volte chiamiamo genio o di cui sorridiamo non comprendendone il significato, significato che è lì, palese e che sta nel solo fatto di essere stati tracciati e mostrati con forza.

Dalle pitture graffiate nelle grotte di Lascaux dei nostri avi alle strutture segnate dalle pennellate di Vedova, il risultato è un grido: Io ci sono! Io agisco sulla materia, io lascio delle tracce ovvero, io esisto. Non è importante che la forma sia elegante o accattivante almeno in principio, perché da subito è importante che qualcosa è stato creato. Un concetto così elementare che fa sorridere, ma che se approfondito rivela la drammaticità del nostro tempo disumanizzato: Noi non lasciamo più traccia di noi. I pc ci hanno tolto questa prerogativa umana. Cosa resta di noi? Delle nostre idee dei nostri scambi? Forse mucchi di files, e-mail, impersonali documenti Word, insomma noi andiamo verso un mondo di idee comunicate tramite alternanza di luci, colori e ombre, i pc, che in realtà non hanno materia, come non è materiale il supporto su cui noi scriviamo, su cui li manifestiamo. Non agiamo più sulla materia come non scriviamo più sulla carta, tutto è progettato su pc, all’interno di questo nuovo universo ci illudiamo di creare perché possiamo scegliere tra una vasta scelta di stili, oggetti immagini, in realtà il mezzo elettronico che usiamo è il primo a condizionarci in quello che poi comunicheremo. Tutto ciò che ne esce per quanto ci possiamo sforzare è etereo, impalpabile, visibile, riproducibile, anche concretizzabile in materiale tangibile, ma in ogni caso il contatto tra uomo e suo prodotto è mediato, indiretto. L’uomo non agisce più sulla materia, non vi lascia più segni direttamente, è la macchina, predisposta a farlo per lui.





Pietra 1- Il lungo cammino
(olio su gesso inciso 2005, 80X30)

Il mezzo è il messaggio, in quanto influenza alla base chi lo usa e in seguito, da subito, chi lo percepisce. Scrivere con un freddo pc davanti ad una pagina di luce bianca influenza già chi scrive, come la luce dei neon non rende intima una conversazione quanto quella di una candela. La logica è il principio dell’ informatica ed immersi in questo mondo come non possiamo esserne influenzati? Le aziende, gli uffici, gli amministratori dei nostri stati li usano continuamente. La logica tende a spersonalizzare, razionalizzare, disumanizzare.
C’è ancora il bisogno del contatto con la materia, di lasciare un segno su qualcosa di fisico direttamente, intanto solo per farlo, poi anche per narrare una storia, comunicare un pensiero, ma soprattutto per ricordarci di essere umani, di esserlo noi, per ricordarci che tutti gli altri intorno lo sono. Io ne avverto il bisogno collettivo o meglio avverto il pericolo del non farlo e lo concretizzo incidendo la materia. L’oggetto lavorato l’artigianato, l’oggetto fatto dall’uomo con le sue imperfezioni e le sue grandezze, la sua unicità, passato questo sì, direttamente dalle mani del suo creatore ad altri. Questo è l’oggetto che vale, non solo perché più o meno interessante, gradevole, quanto perché testimonianza della vittoria dell’uomo sulla materia, l’imposizione di un singolo pensiero irripetibile, anche solo se un singolo graffio su una pietra è la concretizzazione dell’individualità , la sua espansione nel mondo fisico.
Io riprendo questo semplice concetto, come altri prima di me e lo sviluppo sulla materia.

Il mezzo usato per comunicare è già di per sé una parte importante del messaggio.

Quindi ho deciso di incidere la materia, un’azione tra le più aggressive, tra le più pure manifestazioni primordiali dell’uomo. Incido una materia che mi sono costruito, che ovviamente ha una consistenza, una forma, un colore. L’incido con un piccolo trapano perché la materia che ho creato è solita affinchè possa resistere nel tempo. Con il gesso creo superfici che coloro, corrugate, imperfette, mostrano la loro forza, la loro robustezza, la difficoltà di poter eseguire su di loro un segno netto, nitido ma soprattutto lineare, un segno preciso pensato ed eseguito per essere inciso su di loro ma che dovrà superare le depressioni delle superfici , i dossi. Come il pensiero trova difficoltà nell’attuarsi nel mondo fisico, così i miei segni si materializzano superando le asperità che trovano e che cercano di deviarli da quello che è il percorso da me pensato per loro.

Imporre la propria volontà sulla materia, al di la di quello che possono essere le condizioni in cui lo si deve fare. Portare avanti il proprio pensiero.

Il segno è di solito rappresentazione, simbolo di qualcosa, non sempre, ma molte volte prende un significato particolare che va oltre la volontà di essere fatto e si carica di nuove responsabilità, il segno come memoria, comunicazione di evento o oggetto da non dimenticare, che deve essere per questo fermato nel tempo e nello spazio, per riportare alla mente un’idea, un pensiero, una persona. I tempi moderni ci hanno abituato a questo, il segno come simbolo, significante portatore di significato, al limite anche come solo simbolo fonetico, idea di un suono. Quindi associamo un’azione primordiale ad un’idea e le diamo un’importanza anche funzionale di fermare nel tempo un concetto, la carichiamo di un significato. Lo facciamo in principio perché ne abbiamo bisogno, in seguito perché siamo abituati a farlo, la massa di simboli che continuamente vediamo intorno a noi ne hanno tutti uno, è la legge del nostro tempo, tutto deve essere fatto per un motivo, niente lasciato al caso. Il segno senza significato infatti ci disorienta, ci fa riflettere, in un primo momento cerchiamo disperatamente di attribuirgliene uno, come ci hanno insegnato, i più se non ne trovano desistono sconsolati, ormai meccanismi, ingranaggi in un mondo di logica, in cui riconoscono solo chi o cosa è come loro e del loro modo di pensare fa parte. Gli altri iniziano a pensare, la fantasia, l’emotività li riporta ad un mondo interiore che tutti abbiamo o forse abbiamo avuto e che abbiamo rimosso o accantonato in un minimo spazio del nostro inconscio, perché nella nostra società, tutto ci dice che non serve per la nostra esistenza.
I miei segni sono viaggi. Viaggi all’interno della materia su cui vengono tracciati, ne sondano la superficie, ne misurano la consistenza, l’attraversano per continuare il loro cammino inesorabili. Viaggi all’interno di noi, materializzano con immagini non convenzionali stati d’animo, voglie, sogni, idee all’interno di quel grande viaggio che è la nostra esistenza interiore, la nostra consapevolezza di esistere che è un continuo viaggio perché un continuo mutamento. I miei segni sono viaggi, se ne intravede un ipotetico inizio ed una ipotetica fine che è solo il preludio al viaggio prossimo. Il cammino nasce, si sviluppa cerca la direzione, tortuoso in certi punti, più semplice in altri, cerca di mantenere una rotta, di andare avanti, segue la sua ipotetica strada e dove non c’è se la crea, l’importante è proseguire.
Un viaggio nello spazio, il percorrere fisicamente uno spazio reale tracciando delle linee incise sulla materia che si estende da un capo all’altro della superficie da me definita, oppure un viaggio inteso come percorso di vita, una rappresentazione di me attraverso segni che indicano le tappe esistenziali in un susseguirsi temporale, un viaggio interiore, emotivo, dove invece il tempo perde significato, è un accessorio, una fermata obbligatoria da fare quando dobbiamo ricordarci di essere anche corpo, di far parte anche di un mondo fisico. Un viaggio di conoscenza, tappe in cui si incamerano informazioni, si vede, si percepisce, si elabora, forse il migliore dei viaggi possibile, il viaggio che più ci arricchisce spiritualmente, che più ci tenta al momento che lo si inizia, perché più incuriosisce, un viaggio da fare senza paure ma restando in guardia, perché è un viaggio verso l’ignoto.



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